La povertà del possesso e la ricchezza della rinuncia
Le moderne società hanno investito sul primitivo istinto dell’uomo al possesso delle cose ed al desiderio di possedere. Tanto da creare sentimenti di desiderio verso oggetti considerati oggi irrinunciabili; si pensi all’idea dell’ultimo modello, laddove il pensiero dei nostri nonni degli anni ’30 o ’40 era riuscire ad apparecchiare tavola. L’odierno superfluo che si traduce spesso, anche nelle fasce più giovani e persino di bambini, in brama incontrollata fonte di ansia, prevaricazione ed invidia. Ci aiuti il Signore a resistere a tali tentazioni mondane ed a sbarazzarci dell’avidità e di ogni insano o comunque inutile desiderio, vizio, rancore e invidia. Vanità delle vanità, ogni cosa è vanità, dice l’Ecclesiaste. “Quando vi sono cose assai, esse accrescono la vanità; e che vantaggio ne ha l’uomo? (Ecclesiaste, cap. 6, verso 11). Paolo dirà: “Io sono crocifisso con Cristo; non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me” (Galati, 2:20). “Ma le cose che mi erano guadagni, quelle ho reputato danno per Cristo…. per l’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale io ho fatta perdita di tutte queste cose..” (Filippesi, 3: 7-8). Potrebbero sembrare teorie, parole astratte; invece Gesù va sul concreto e indica un uomo: Giovanni Battista, la voce d’uno che grida nel deserto. Un uomo che vestiva “di pel di cammello ed una cintura di cuoio intorno ai lombi, ed il suo cibo erano locuste e miele selvatico” (Evangelo di Matteo, 3:4). Del Battista, Gesù prese a dire: “che andaste voi a vedere nel deserto? Una canna dimenata dal vento? …Ma pure che andaste a vedere? Un profeta? sì certo, vi dico, e più che profeta….. Io vi dico in verità, che fra quelli che son nati di donne, non sorse giammai alcuno maggiore di Giovanni Battista” (Matteo, 11, verso 7 e ss.).